1^ parte - Carlo Ceresa (San Giovanni Bianco 1609 - Bergamo 1679)

Ambrogio Ceresa della Valsassina e Caterina Maurizio di Oltre il Colle, trasferitisi a San Giovanni Bianco, vennero a nozze, con consegna della dote il 23 febbraio 1609, un mese dopo quel 20 gennaio 1609 indicato dal Tassi come data di nascita del loro primogenito Carlo. A meno che si sbagli il Tassi, la nascita di Carlo Ceresa sarebbe quindi illegittima (come fu quella di Leonardo e di Giovanni Bellini) poi legittimata. Sia quel che sia, all'arte importa quel tanto che ogni avvenimento può influenzare il sentire profondo dell'artista, le sue più o meno grandi sofferenze e gioie poi riversate nei dipinti. All'arte interessa la formazione del giovane Ceresa. Secondo il Tassi suo maestro fu il milanese Daniele Crespi (1598-1630), anche se le prime tele eseguite verso il 1630, anno della terribile peste, per le chiese di San Giovanni Bianco e dei monti circostanti, rivelano la fatica di un autodidatta che si impegna a conquistare quella padronanza dei mezzi espressivi, che ben rivela il Giovinetto con cappello in mano, datato 1633 e a lui attribuito, del Castello Sforzesco di Milano, molto simile al bellissimo Giovinetto Bonometti, datato 1633, della Carrara. Le opere dei primi anni Quaranta, quali la Crocifissione con la Maddalena e due Disciplini di Mapello (1641), la pala S. Rocco invoca la Sacra Famiglia, con S. Carlo Borromeo, S. Sebastiano e altri Santi, di San Pietro d'Orzio (1643) e la Visione di S. Felice di Cantalice del 1644 in S. Giorgio a Nese, sono belle prove di una maturità raggiunta, di un timbro personale improntato ad uno schietto naturalismo, di una sobrietà ancor più severa di quanto comportasse la temperie borromaica, nonché di una conoscenza delle opere di Daniele Crespi (in tal senso non sbagliò il Tassi). Ancora il Crespi, e un po' del Nuvolone, si ravvisa nei primi ritratti del Ceresa che si pongono, e con molto onore, nella scia Moroni-Cavagna, anticipando Fra Galgario.

Del 1640 è il Ritratto di Laura Zignoni Boselli, sua parente per aver il Ceresa sposato nel 1635 «la pudica et casta giovine Madonna Caterina... figliuola diletta» e unica di Giuseppe Zignoni, abitante nella contrada di Grabbia, dedito all'agricoltura. Mercanti di ferrarezza e proprietari terrieri erano altri parenti Zignoni, tra i quali l'ingegnere Francesco Zignoni «di acuto ingegno», inventore di una bomba che fu causa della sua prematura morte nel 1642 a Verona. Gli Zignoni erano a loro volta imparentati per vie sponsali con la famiglia dei notai Boselli e con Giuseppe Raspis o Raspa, di nobile casato, il cui stemma si trova sulla tela della Visione di S. Felice di Cantalice. La famiglia Zignoni fagocitò in un certo senso il Ceresa, obbligando lo sposo a «entrar et viver» a Grabbia, ma egli non perse la propria autonomia, anzi l'accrebbe per la rinsaldata sicurezza che gli consentì forse quel viaggio a Venezia di cui parla il Tassi e magari uno anche a Bologna. Si nota nei dipinti il passaggio da un tono ombroso ad una più viva luminosità cromatica e la convergenza con la pittura spagnola. Luisa Vertova (1984) non esita a paragonare la pacata nobiltà della Crocifissione dei Disciplini Bianchi di Mapello «ai coevi capolavori sivigliani di Francisco Zurbaràn». È lo splendido periodo del Ceresa. Si susseguono tele per le numerose confraternite alle quali si sentiva legato per umana simpatia e devota religiosità. Del resto nel 1639 aveva, con altri capifamiglia di San Giovanni Bianco, firmato una petizione al Doge per l'edificazione di un convento di Cappuccini al suo paese, poi documentato con undici frati che si mantenevano con la quotidiana mendicità.

Le tele datate (v. pag. 124) sono importante punto di riferimento per delineare la sua fervida attività che gli diede quella agiatezza destinata prevalentemente alla sistemazione dei figli, dei quali due, Giuseppe e Giovanni Antonio, di più talento, si dedicarono alla pittura, due, Giovanni Battista e Francesco, ben dotati come furono, poterono percorrere la carriera ecclesiastica, Sebastiano, divenne notaio, mentre Francesca morì a 27 anni ed altri cinque figlioli morirono in tenera età. Benché al tempo le morti di tanti "angioletti" fossero così comuni da trovare il dolore rassegnato, nell'animo dei genitori restavano note dolenti e ricordi ridenti che il Ceresa trasferì nei suoi angioletti, così come alla Vergine potrebbe talvolta aver dato il volto della moglie Caterina. Per la fama ormai consolidata, l'artista venne chiamato a ritrarre Bernardo Gritti (pro-prefetto di Bergamo), firmato e datato 1646, ora al Rijksmuseum di Amsterdam, mentre aveva già eseguito il Ritratto del Cancelliere Ghirardelli (1633-40). Nel 1645 il Ceresa riceve il pagamento per i Misteri del Rosario di Sombreno che, secondo la Vertova, precedono di poco il S. Vincenzo in gloria  del Duomo con quella coltre di nubi a far da cuscino al Santo e da volta celeste all'esatto panorama di Bergamo. Sono documentati in quegli anni, la Madonna in gloria di Ponteranica, l'affresco di Nese eseguito in soli quattro giorni nel 1648, alcuni dei Ritratti Pesenti e Suardo, la Madonna del Rosario di Valnegra, il S. Narno di Ogna, l'affresco di Terno d'Isola, il Ritratto di Angelo Finardi pretore di Scalve a 64 anni e del Canonico Alessandro Vertova a 70 anni, la Madonna del Rosario di Nese, il S. Antonio da Padova di Mezzoldo, eseguito nel 1658 per i fratelli Salvini. Ancora del sesto decennio sono la Madonna in gloria e Santi di Nembro, recentemente aggiunta al catalogo Ceresa, il Ritratto del vescovo Gregorio Barbarigo e altri Ritratti Pesenti. Probabilmente l'artista ebbe lo studio a Bergamo anche prima di trasferirvisi con la famiglia negli anni Sessanta, nei quali dipinse, tra le altre, le due tele dell'Annunciazione di Sombreno, un S. Carlo e un S. Liberale per la chiesa di Cornalita (opere perdute, pagate lire 85 il 20 maggio 1661), un S. Antonio di Padova per la parrocchiale di Ogna e uno per il valdimagnino Giovanni Locatelli, il Ritratto di Lucillo Vertova, prevosto alla Cattedrale di Bergamo, la SS. Trinità e Santi per Somendenna, il S. Antonio di Nese e un altro S. Antonio con l'offerente Giovanni Boselli per la parrocchiale di Madone. All'ultimo periodo vengono assegnate alcune delle tele nella chiesa di Vercurago dei Padri Somaschi, il cui fondatore Gerolamo Emiliani (Miani), venne effigiato dal Ceresa ancor prima della canonizzazione del 1671.

Una produzione vastissima quella del Ceresa, più di 350 opere, comprendendo quelle disperse e quelle eseguite in collaborazione con i figli Giuseppe (1640-1685) e Antonio (1659-1679), escludendo un centinaio di opere erroneamente attribuite. Pur con tanto lavoro, secondo il Tassi, il Ceresa fu sempre esattissimo di parola e tanto puntuale nel mantenerla da non impegnarsi mai in nuovi dipinti prima di aver finito quelli in corso. Alla stessa rettitudine si ispira il suo esemplare testamento con il quale divide l'eredità in parti uguali tra i cinque figli superstiti, dopo aver dato istruzioni per messe in suffragio e per la distribuzione di olio e sale ai conventi e ai poveri di San Giovanni Bianco. Il testamento è dell'8 aprile 1678, qualche mese prima della morte, avvenuta a Bergamo, alla fine di gennaio del 1679 nella sua parrocchia di S. Alessandro della Croce.







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