Cenni sui possessi Signorili e sul Feudalismo tra i monti
dell'Alta Val Brembana Occidentale l'origine dei Feudi in Valle Brembana (prima parte)

Questo articolo vuole dare un sintetico quadro sulla feudalità in alta Val Brembana (tematica che si spera di poter trattare più diffusamente in altra sede), tralasciando, dati i limiti di spazio, i dettagli, peraltro estremamente interessanti e significativi, dei vari passaggi e cercando di operare una sintesi, finora mai tentata, delle notizie in parte edite ed in parte inedite, che hanno portato interessanti novità. Restano per il momento escluse da questi cenni le notizie sui feudi di Valtorta, che nel XIII e XIV secolo erano di diritto dell'arcivescovo di Milano. I monti dell'alta Val Brembana originariamente appartenevano ad un unico corpus di beni, compresi nel complesso fondiario e territoriale che faceva capo ad Almenno, ove si ipotizza si trovasse già un possesso imperiale tardoromano, in seguito passato ai vari regni barbarici ed infine al duca longobardo di Bergamo.

Nel settimo secolo, al momento del rafforzamento del regno longobardo, alcuni beni vennero stralciati dal patrimonio ducale e trasferiti a quello regio e l'antico corpus fu diviso in due porzioni, aventi due distinti centri, Almenno, di pertinenza del re, ed Alme', assegnato al duca, e questo avvenne anche per i beni pertinenziali, fra i quali i monti della Val Brembana. Almenno ed Alme' divennero Corti rispettivamente regia e ducale. Il termine "Curia" o "Curtis" a quel tempo indicava non più il complesso dei beni fondiari di proprietà di un Signore distribuito in una zona determinata, ma la località nella quale questi si trovavano, al cui interno potevano esservi anche beni di allodieri o proprietari. Con la conquista franca del 774 le due corti passarono al re Carlo Magno ed al conte del Comitato di Bergamo, all'epoca Ghisalberto I, capostipite della famiglia che da lui prese il nome.

I FEUDI VESCOVILI
Le vicende dei beni della Valle Brembana si intrecciano con i grandi fatti della storia europea dell'epoca. Nell'875 l'imperatore Ludovico il Germanico donò le Corti regie di Almenno e della Morla alla pronipote Ermengarda, figlia di Lodovico II, imperatore e re d'Italia; nell'883 l'imperatore Carlo III il Grosso riprese le due corti che detenne sino alla sua deposizione nell'anno 887, quando pervennero a Berengario marchese del Friuli dal quale nell'889 passarono a Guido duca di Spoleto, divenuto imperatore del Sacro romano impero; egli nell'892 (unitamente al figlio Lamberto) donò al marchese Corrado conte di Lecco ed a sua moglie Ermenegunda quella di Almenno, che rimase proprietà dei loro discendenti, il marchese Radaldo (..926..), il conte Guidone e suo figlio conte Attone (..957-975), che, attraverso una complicata serie di passaggi, li fece pervenire alla pieve di Almenno. Interiormente al 996, con una modalità non ben chiarita, passarono poi al vescovo di Bergamo. Nel XII e XIII secolo i beni di questa corte, fra i quali una cospicua parte delle Valli Brembana e Seriana e buona parte dell'oltre Goggia, erano ancora nelle mani del vescovo, al quale il possesso venne confermato il 18 maggio 1156 ed il 26 maggio 1183 dall'Imperatore Federico I Barbarossa, che richiamò precedenti donazioni e conferme di Carlo Magno, Berengario I (915-923) ed Ottone II (967-983). Del possesso vescovile sono rimaste tracce nella toponomastica, quali ad esempio "Pizzo del Vescovo", presso Foppolo. Con il tempo i grandi possessi patrimoniali, fossero o meno feudi, entrarono in crisi, andarono frammentandosi non solo per divisioni, cessioni e donazioni, ma anche perché i grandi feudatari riuscivano sempre meno a far valere i propri diritti ed a controllare i loro possessi e per mantenervi almeno qualche diritto ne concedevano mediante investitura ad eredità perpetua od a titolo livellario o feudale porzioni a diversi personaggi di estrazione benestante (probabilmente medi o piccoli proprietari, appartenenti in parte anche alla piccola nobiltà, che diedero vita ad un gruppo sociale che costituì una feudalità minore) ed anche a comunità. Con queste cessioni il Signore rinunziava al possesso in cambio di un canone annuo e la frammentazione delle terre permetteva un più capillare e migliore sfruttamento delle stesse. Anche il vescovo concesse spesso l'uso di terre a persone o comunità. Nel 1148 investì in perpetuo Sozzo ed Asperello fu Anzalberto di Scalve di tutti i diritti, pertinenze e competenze vescovili in Val Fondra.
Questi personaggi, qualificati come "de Scalve", sembrano appartenere alla famiglia signorile dei Capitani di Scalve ed essere i capostipiti di quella dei da Fondra, detti anche Fondra di Bordogna, che a sua volta diede origine ai Capitani di Valleve (gli attuali Cattaneo). Era abbastanza comune in età medioevale che diversi rami dello stesso ceppo si distinguessero dal nome del proprio possesso signorile. Dai Fondra di Bordogna ebbero origine anche le famiglie Cittadini, Paganoni, Ruffinoni e, pare, Bonetti. Nel 1159 investì ad eredità in perpetuo alcuni uomini di Bordogna di tutto quello che gli abitanti del luogo erano un tempo soliti pagare individualmente ed in comune al vescovado per beni nel territorio di Bordogna, entro le coerenze: ad est la Val Secca sino alla Croce e da qui fino in cima al Monte Cucco e da qui alla Costa della Ferera e, seguendo la Costa, sino al Grumello vicino alla Foppa di Foldone di sotto e dal Grumello alla Petola e poi sino al Brembo e, seguendolo, fino alla Val Secca.

Nel 1171 si accordò con gli uomini di Valnegra "che non doveva esserci danno per il vescovo e successori", ma non sappiamo da che fatti questo accordo fosse motivato; nel 1172 investì i Comuni di Valnegra e di Bordogna in comune di tutta quella terra ai loro confini per la quale gli uomini dei due paesi ed i loro antenati erano soliti versargli ogni anno 4 moggi (919.08 litri) di segale. Nel 1176 fece un accordo con il console, gli uomini e ‘vicini' di Valnegra a seguito di una sentenza di Gennaro Coldora su alcuni diritti. Poiché il documento è sbiadito e poco leggibile non si comprendono bene i termini della questione, ne ricaviamo comunque che vi era stato un contenzioso fra il Comune di Valnegra, rappresentato dal suo console, ed il vescovo.

Nel 1179 questi investì Giovanni e Vitale, fratelli germani fu Lanfranco Conte, a nome loro e di molti altri, di due terre con sopra due "tegge" nel territorio di Fondra (una alla Forcella, confinante, fra l'altro, ad est con la Valle de Mantico, a sud con il Brembo, ad ovest con i monti ed a nord con i "figli de Monte Nera", e l'altra alla Costa della Ca, confinante a nord con Ambrogio de Gatto, a sud con Andrea Lanzoni, ad ovest e a nord con una terra dei figli di Alcherio da Varenna), nonché di tutti i diritti di pascolo di tutta la terra di Fondra. Nel 1179 o 1180 investì in perpetuo Adamo de Montenaria e fratelli e molti altri uomini di Valnegra di tutta la terra che essi avevano "spazzata" in Fondra, con tegge e case, ma con diritto di pascolo per il Comune di Fondra. Nel 1183 Pietro de Bruca fu investito per sé e per Giovanni de Lera di tutto il monte de Aservero nella Val di Mezzolo e di Rigosa. confinante ad est con terre dei monaci di Astino, ad ovest con il monte di Caneso ed a nord con Culmine Gultuline (forse il Monte delle Galline a 2131 m.).

Nel 1184 il vescovo investì Zambone fu Giovanni de Vespolo, a nome suo e dei fratelli, del monte Mezzeno, confinante ad est con il monte di Nevolo, a sud con il monte Branchino, ad ovest con il Monte dell'uomo morto, a nord con il monte del lago Gemello, e del monte Valdelione (forse il Vendiolo), confinante ad est con il monte della Cornella, a sud con il monte Vetero (o vecchio), ad ovest con il monte Zepetto ed a nord con il monte Branchino. Nel 1186 alcuni uomini di Olera, di Fondra, Pietro (?) di Alberto di Cantone ed altri furono investiti del monte detto Cornella di proprietà dell'episcopato, confinante ad est con l'Arera, a sud con il Picarello, ad ovest con il Vendelione ed a nord con Vecone, dietro pagamento di 22 soldi annui da farsi a San Martino. Nel 1190 per un fitto di 40 soldi Vitale della Costa, a nome suo, di Brozo e di altri, fu investito del Monte Mezzeno e del Monte Vanduloso o Vendiolo. I confini del primo sono indicati come nel 1184: ad est il monte de Novolo, a sud il monte Branchino, ad ovest il Monte dell'uomo morto, a nord i termini del Lago Gemello, quelli del secondo in modo leggermente diverso: ad est il monte Branchino, a sud il monte Vecchio di Cornale ed il monte Cornale o della Cornella, ad ovest il monte Zepetto, a nord la Valle dell'Acqua Secca. Il vescovo si riservava però il diritto di estrazione dei metalli, di caccia e di "annium", termine non chiaro, ma che probabilmente indica un reddito annuale. Erroneamente questa Costa venne identificata con Costa di Roncobello, mentre si tratta di Costa di Serina che ancora nel XIV secolo pagava il fitto al vescovo, come rileviamo da un documento del 1246 con il quale Ruffino e Martino fratelli fu Uguzzone da Fondra di Bordogna affittarono a Lanfranco da Ambria e Pietro fu Giovanni Alberti di Cantone consoli del Comune di Costa Serina, riservandosi i diritti di metalli, il monte Mezzeno presso Bordogna, delimitato ad est e sud dal Gruppello sino al termine sul campo dell'uomo morto nel Cornello Bianco e dal termine nella piazza dell'uomo morto al fondo del Vendulo grande sino al Grumello del Mezzeno e dal fondo del Vendulo al termine sotto Foppa Luvera e da qui sino al Fondo di Mezzeno o di Valsecca, a nord dalla costa fra il lago Gemello e la Val Scura.

Con tutta una serie di atti del 1263, 1279, 1457, 1471, 1473, 1472, 1476 questi beni passarono in varie mani ed infine alla quadra di Baresi e Bordogna ed infine al Comune di Roncobello, che tutt'oggi li affitta facendo inoltre pagare all'affittuario un canone in formaggio agli aventi causa degli antichi possessori. Nel 1209 il vescovo investì Alberico fu Asperio da Fondra di tutto quello che l'episcopato aveva o ad esso pertineva, allora od in precedenza, o che si diceva gli pertinesse, "per dire e richiedere" nel monte Carosolo (evidentemente il Monte di Carisole) "et usanciis comune" che l'episcopato aveva in quel monte. Il tutto non è chiaro, ma si ha l'impressione che si tratti di diritti che il vescovo non riusciva più a far valere. Nel 1223 alcuni da Castello, Alberto fu Giovanni abitante a Valtesse, Pagano e Zambone fu Teutaldo e Montenario fu Giovanni, giurarono fedeltà al vescovo e chiesero che assegnasse loro il feudo che essi ed altri per loro detenevano dal vescovado, terre in Val Secca in Val Brembana boschive, prative, arborive, con case e tegge, che tenevano in feudo gli eredi di Giovanni di Val Secca, ed in foppa di Mostacco sempre in Val Secca con un sedime di forno per ferro. Nel 1238 una sentenza di Don Giovanni da Verdello, prevosto della chiesa di Bergamo, nei confronti della chiesa di San Martino oltre la Goggia e dei suoi officiatori stabilì che dovevano versare al vescovado 40 soldi per le decime che esso possedeva a Fondra, Bordogna, Val Secca, Foppolo, Sasso e pertinenze. Si può forse trattare di diritti passati alla chiesa parrocchiale.




IL FEUDO DI VALLEVE


In Val Brembana i beni appartenenti alla corte di Alme' si concentravano nella vallata del fiume chiamato un tempo Leve o Leffe (ora considerato un ramo del Brembo), detta appunto Val Leve o Val Leffe ed oggi Valleve. Con la divisione della Corte di Alme' fra i discendenti dei conti di Bergamo anche il feudo di Valleve si frazionò. Fra XI e XII secolo ne erano in possesso i conti Ghisalberto IV con il figlio Nantelmo, Enrico II ed Arduino IV. Dopo alcuni passaggi la parte dei primi due pervenne al monastero di Astino, quella dei secondi a quello di Pontida. Entrambi le cedettero in feudo ai discendenti di Baroncello da Fondra (vivente nel 1183 ed in contatto con la cattedrale di Sant'Alessandro), che fu il capostipite dei da Valleve detti poi Capitani di Valleve. Ricapitolando queste vicende vediamo che nel 1102 Ghisalberto IV, unitamente al figlio Nantelmo, vendette ad Alcherio da Lallio per conto di Giselberto fu Attone (Colleoni), Dolce fu Arnoldo, Oddone fu Pietro Crotta i beni che aveva dentro e fuori il castello di Alme' con la cappella di San Michele, Zogno (forse il paese, forse il monte Arale, allora detto Arale di Zogno), Valleve e Cancervo, che passarono poi a Federico Colleoni di Bergamo (nipote di Giselberto) che li cedette al monastero di Astino.





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