Feudalismo tra i monti dell'Alta Val Brembana
Origine dei Feudi in Valle Brembana (seconda parte)

Nel 1143 Pietro fu Gisalberto Poiacchi de Castello vendette ad Astino tutti i beni divisi e indivisi siti sul monte Leupho o Leve appartenenti alle figlie di suo fratello Giovannibuono e Lusia sua moglie diede il proprio consenso; nel giugno successivo, presso la cattedrale di Sant'Alessandro in Bergamo, vendette a questa chiesa beni ad Alme'. Fra XIII e XIV secolo la cattedrale aveva diritto alle decime sui beni del monastero di Astino, delle quali investì i Capitani di Valleve, cosa che ci è testimoniata nel 1302 quando Begazio fu Amadeo Baroncelli da Valleve pagò per 8 annualità scadute nel 1301 a nome di Ardizzone, Zano detto Bellato, Lanfranco, Cugnolo e Pagano detto Pecora. Nel 1337 la chiesa affittò poi tutti i fitti a Bruntino, Stabello, Zogno, Brembilla, San Pellegrino Terme, Bracca, San Giovanni Bianco, San Pietro d'Orzio, Piazza Brembana, Foppolo, Cambrembo, Valleve e San Gallo.

Nel 1227 l'abate di Astino investì a titolo di feudo Alberto fu Pietro Baroncello di Cambrembo di Valleve a nome suo e degli eredi di Baroncello suo consanguineo del feudo che essi ed i loro maggiori tenevano in Valleve e nei monti di Leve e loro pertinenze entro i confini estendentesi dalla chiesa di Valleve sino a quella di San Simone e da qui sino al monte detto di quelli di Andenna (forse Pandena), detto Bionia, e da lì dall'altra parte della Val Bavosa, seguendo la costa di Lemme dal lato nord, cioè ad est la Val Bavosa, a sud la chiesa di Valleve e la Costa Valenzana, ad ovest il monte Bionia. Lo investì anche di un nono di tutto il monte di Leve che era stato del conte Ghisalberto e di un quarto di ciò che era stato del conte Attone, cioè un terzo di tutto il monte e piano di Leve, e gli confermò ciò che i molti figli del defunto conte Attone avevano entro quei confini e tutte le vene di ferro e metallo che Alberto e gli altri possedevano a titolo di feudo entro di essi, con il pagamento del solito fitto. Il monastero si riservò ciò che usava in quei luoghi, fra cui i diritti di pascolo, oltre a quanto aveva acquisito da Federico Colleoni o dai tutori dei suoi eredi nel monte e nella valle di Leve. Alberto giurò di essere fedele vassallo dell'abate.

Nel 1236 Mostacchino fu Pietro di Baroncello di Valleve e Viviano e Dainardo figli di Baroncello si impegnarono a pagare annualmente al monastero il giorno di San Martino un centenaro di ferro come fitto. Nel 1281 l'abate ed il capitolo di Astino investirono alcuni membri della famiglia dei capitani di Valleve, Ardizzone fu Viviano fu Baroncello a nome anche dei fratelli Lorenzo e Loterio, di cui era messo, Alberto fu Mantenuto fu Pietro a nome di Grazio e Lanfranco suoi fratelli, Grazio detto Mazza fu Barone fu Barone a nome dei fratelli Raimondo e Giovanni, Amadeo fu Mostacco fu Pietro, Cuniolo fu Pietro fu Alberto, Pagano fu Dainardo fu Barone, a nome anche dei fratelli Alberto, Zambone, Guglielmo, Pasino, Bonaparte loro nipoti figli del fu Martino fu Dainardo e di Viviano detto Mozio fu Marchisio, del feudo che i loro maggiori ed antecessori erano soliti tenere dal monastero a Valleve e nel monte de Leve e pertinenze e confini., che erano gli stessi del 1227, ma a nord erano indicati beni del monastero, un nono del retro del Monte di Lemme e di Valleve, che era stato del Conte Gisalberto, un quarto di quello che aveva avuto il conte Attone, che era un terzo del tutto, escluso quello che il monastero aveva in Ronco per acquisto fatto da Federico Colleoni di Bergamo. Essi gli giurarono fedeltà sui Vangeli contro ogni persona. Con successivo atto il Capitolo diede ricevuta del ferro, dato che secondo l'atto dovevano pagare ogni anno mezzo centenaro, secondo la misura del Comune di Bergamo, di ferro buono e bello e cotto nelle "taioli o verzelli". I da Valleve ebbero numerosi contatti con il monastero di Astino, ad esempio in un atto del 1274 di quel cenobio troviamo fra i testimoni domino Ardizzone fu Viviano da Valleve. Nel XIV ricevettero investiture feudali anche in Val Tellina.

Il monastero di Pontida venne in possesso di una porzione dei beni nel monte di Zogno (attuale monte Arale) e nel monte Arete (fra Foppolo e Cambrembo), che erano stati della Corte di Alme', mediante tre acquisizioni, la prima comprendente una parte con edifici sulla sommità dei prati, la seconda un terzo del Monte di Zogno e di quello di Valleve, già del conte Enrico II, per acquisto da Lanfranco da Bonate, e la terza la porzione del conte Arduino IV, acquisita sempre da Lanfranco. Tutti questi beni sono menzionati in un breve papale del 1107.

Nell'anno 1400 Guglielmo da Belvedere fu Marchesino, vicario, priore claustrale e procuratore dei monaci di Pontida, investì, confermando l'antico possesso, Baronzino di ser Ardizzone fu Viviano, agente a nome proprio, del padre, di Pietro detto Stemo fu Alberto, di Guglielmo detto Morazio fu Martino, di Pellegrino fu Maifredo, tutti Capitani di Valleve, del feudo e diretto dominio, nonché di tutti i diritti spettanti al monastero nel luogo e territorio di Valleve con i confini dalla chiesa di Valleve seguendo la costa Valenzana "torta e retta" sino alla sommità del monte di Valenzana sino alla chiesa di San Simone e da qui sino alla Val Bavosa e da qui seguendo l'acqua Bianca che scorreva per Foppolo sino all'acqua Leve e poi sino alla chiesa di Valleve.

Li investì pure di tutti i diritti di vene e metalli di ferro, argento, rame, piode che si sfruttavano in quelle coerenze, di acque ed acquedotti e di un monte od alpe nel pascolo che si trovava intercluso nei suddetti confini nella zona detta nell'Arale di Gralezio o nel monte di Aredo (Arete) confinante ad est con la sommità del Pizzo di Aredo, a sud con la costa di Gavedo e Lemme, ad ovest con i boschi di Funo da Cambrembo e di Aredo, a nord con l'acqua di Cambrembo o l'acqua della Val Bavosa con i diritti di pascolo e di cavarvi vene e far riscuotere con l'onere di pagare ogni anno al monastero il giorno di San Martino 30 libbre di ferro e 30 di formaggio cotto e salato, consegnati nel luogo di Piazza Brembana, ed un paio di calzari di panno o drappo bianco al tempo del rinnovo dell'investitura.

Nel 1455 il priore commendatario del monastero di Pontida rinnovò l'investitura feudale  per un mezzo a Giovannotto fu Maffeo fu Ardizzone a nome suo e di Amadeo detto Cado fu ser Ardizzone abitanti a Tirano e per un dodicesimo ciascuno a Maffeo fu Gelmino detto Minazio, a Pietro di Viviano detto Patrone fu Ardizzone a nome anche degli eredi del fratello Giacomo e di Tognolo fu Oprando fu Viviano, a Bernardo e Giovanni fratelli fu Antonello detto Tayegio fu Ardizzone a nome di Cristoforo e Pietro loro fratelli, a Tonolo fu Betto ed Andriolo fu Giacomo fu Betto, a Giovanni fu Antoniolo detto Paganino a nome anche degli eredi di Balsarino suo defunto fratello, Gerolamo e Gelmino loro fratelli, a Tonino fu Manfredo e Cristoforo di Giovanni Marchetti.

Gabriele Medolago - Annuario C.A.I. alta Valle Brembana - 2003





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